Due maschere animate danno vita alle figure di due anziani coniugi, Ubaldo, mezzo sordo che fa la calza ai ferri, e la moglie Gertrude, che fuma la pipa e lo rimbrotta; i due battibeccano raccontando d’un tempo remoto in cui aprirono la fabbrica del riciclo “Spazza-tour”, la cui eredità è andata nelle mani di tre donne: una ragazza, sua madre, sua zia, caratterizzate comicamente attraverso le loro ossessioni (la mania del canto per la zia, la fregola di giocare a carte per la madre, la dedizione allo studio per la figlia). Il quadro è completato dallo sbocciare dell’amore tra la ragazza e un imbranato trasportatore di rifiuti. Nel procedere della vicenda, la realtà si confonde con la dimensione onirica, attraverso sogni ed incubi della giovane protagonista, la costruzione drammaturgica si riappropria del presente lasciando spazio ad una riflessione sull’inconsapevolezza dei nostri tempi.
Note di regia:
Uno spaccato di vita. Una storia qualunque. La linea di confine tra la cultura e la subcultura, il momento in cui la bellezza viene immersa nel ripugnante e comincia a conviverci. Da questi presupposti nasce l’idea di “Trash Express”. In un allestimento che mette insieme varie tecniche teatrali - dal teatro di figura al mimo, dalla commedia dell’arte al clown - si alternano le vicende, volutamente sopra le righe, di personaggi fuori dal tempo, o immersi nel loro tempo a tal punto da essersi completamente alienati dalla realtà, che vivono le loro storie quasi senza accorgersi del mondo intorno a loro. Siamo noi. Che in un clima di costante “emergenza” continuiamo a vivere la quotidianità e nel ricordo della “Campania Felix” puliamo le nostre case fino all’ossessione, profumandole di prodotti chimici che ci fanno sentire la sporcizia come qualcosa che non ci appartiene, che è “al di fuori” di noi, senza volerci accorgere di quanto sia ormai parte del nostro patrimonio genetico. La nascondiamo goffamente ma è lì. E non a caso in “Trash Express” il meccanismo scelto per raccontare questa storia è quello della comicità. Perché di quell’ironia che ci porta a ridere dei nostri paradossi, dei nostri drammi, che rende tutto folkloristico e in fondo normale, noi siamo vittime. Per questo il racconto diventa, nel suo sviluppo, una “allegoria della munnezza”. Questo spettacolo è nato come un corto della durata di quindici minuti, andato in scena per la prima volta per le strade di Marano (Na) a Luglio del 2010, nel pieno della crisi rifiuti e della tragica apertura delle discariche di Chiaiano e Terzigno. Da quel momento è sorta l’esigenza di approfondire la tematica ed andare oltre l’impatto del quarto d’ora, affrontando le ragioni sociali ed antropologiche del “fenomeno” dei rifiuti.