Autore: Versi, prosa e musica di Raffaele Viviani (Castellammare di Stabia, 10 gennaio 1888 – Napoli, 22 marzo 1950) A cura di Antonio Ghirelli e Achille Millo
Scene: Giuseppe Zarbo
Regia: Antonio Ferrante
Produzione: CGE TTR
Cast (o. a.): Gigi Savoia, Giuseppe Zeno, Lalla Esposito, Francesco Viglietti.
Musiche dell’autore suonate in scena dal M° Cataldi
Durata: due tempi e sette quadri per ca. due ore
Anno di produzione: 2015
Conservando una consuetudine di rappresentazione alla Viviani, gli attori si alterneranno nella interpretazione di molti “personaggi”. In questo caso accanto al brano si troverà il nome del personaggio. Inoltre volta a volta presenteranno i brani che legano le sequenze, reciteranno dei racconti in prosa o in versi in terza persona, o si uniranno per eseguire cori cantati o parlati. In tal caso non ci saranno nomi di personaggi accanto al brano da eseguire.
La scena
Un palcoscenico, come se fosse abbandonato da tempo. A destra un vecchio pianoforte verticale - al centro sei casse - sulla quinta a sinistra una scala da elettricista subito dietro una cesta. Sul fondo, sospesa a due corde, una tavola (anneto ‘e fravecature). Cantinelle che saranno disposte volta per volta in disegni diversi.
Lo spettacolo
Con questo spettacolo, composto esclusivamente di testi drammatici, poetici e musicali del grande autore-attore napoletano (gli estratti teatrali vi occupano la parte dominante), s’intende delineare un ritratto biografico di Viviani e al ternpo stesso fornire un quadro completo della sua arte. Come Luigi Pirandello, Viviani lavorò sui personaggi e sulle situazioni del suo mondo poetico, prima sbozzandoli nel verso o nello “sketch” del varietà, quindi sviluppandoli più drammaticamente nella logica complessa della scena. Nella sostanziale aggressività al mondo reale, però, il suo teatro ricorda piuttosto quello di Bertolt Brecht. Identico è il suo approccio appassionato e furente alle ingiustizie sociali di una Napoli che, prima e dopo di lui, è stata descritta soltanto con i colori sfumati del patetismo mandolinistico; identica la geniale mescolanza di tragico e di comico, di recitato e di musicale, di lirico e di buffonesco. Perfino l’uso del dialetto, che nella tradizione napoletana restringe e soffoca il discorso, si dilata in Viviani alla riscoperta di una lingua genuinamente popolare, violenta, aspra, cupamente umoristica, disperatamente umana - come le vicende della gente semplice che essa aiuta a capire.
Con il nostro spettacolo “Io, Raffaele Viviani” abbiamo voluto disegnare il ritratto di un artista e di una città che contestano rabbiosamente la maschera convenzionale che si è voluta applicare sul loro volto. Ogni parola dello spettacolo è tolta dal teatro, dai versi, dalle pagine del grande poeta, come una ballata popolare, un’infernale tarantella di suoni e di voci che rassomigliano, insieme, ad un atto d’amore e ad una maledizione.
(Antonio Ghirelli)